Forse ti piacerà leggere quest’intervista di Luciana Tavernini appena pubblicata sulla rivista Leggendaria. Oggi giudico particolarmente necessario ricordare il piacere clitorideo e spostare la storia della disgrazia e l’esterminio.
Intervista a María-Milagros Rivera Garretas, “Leggendaria. Libri Letture Linguaggi” 154 (giugno/luglio 2022) 27-28.
Luciana Tavernini – Viaggio intorno al piacere femminile
Incontriamo María Milagros Rivera Garretas in occasione della traduzione del suo libro Il piacere femminile è clitorideo. L’autrice, docente emerita dell’Università di Barcellona, vi ha fondato con altre nel 1982 Duoda – Centro di ricerca di donne e, nel 2021 a Cáceres, Dhuoda • Amor • Sentir • Mujeres • Placer • Mística • Naturaleza • Seguir naciendo. Svolge un costante lavoro di scambio tra femministe della differenza italiane e spagnole. Ha tradotto con Ana Mañeru Mendez tutte le poesie di Emily Dickinson, di cui ha scritto una biografia per giovani.
La scrittura del tuo libro è trascinante come l’acqua di un torrente e conduce in un percorso inaspettato, a volte a spirale. Riconnetti, anche attraverso l’etimologia delle parole, la ricchezza delle tue conoscenze di storia, arte, letteratura, mitologia, filosofia, medicina, senza che l’erudizione sia esibita. Ho avuto la sensazione di accompagnarti mentre procedevi nelle tue scoperte e, rileggendo, trovavo sempre qualcosa di nuovo. È un libro da studiare, soprattutto in gruppo, per la molteplicità degli aspetti proposti.
Come è nato questo tuo modo di scrivere, che chiami “l’intelligenza, l’intendimento e metodo della lingua materna”?
La scrittura ha trascinato anche me. Prima di scrivere non ho letto testi particolari, non ho cercato documenti, non ho stabilito percorsi e collegamenti, non ho costruito un indice provvisorio. Ho lavorato su quello che mi veniva in mente, seguendo il filo del pensiero come si andava dipanando. Poi ho controllato le fonti e i dati perché, essendo storica del Medioevo, non potevo prescinderne. La scrittura stessa ha trasformato me e mi ha trasportato: transport è un’espressione che Emily Dickinson usa nella sua poesia per riferirsi all’orgasmo clitorideo. Le parole che sentiamo vere, quelle che danno piacere, hanno la capacità di trasportare anche te nella scrittura perché ti guidano e ti portano, ti danno l’orgasmo della parola giusta.
Il momento più importante per me è stato quando ho trovato il filo del primo paragrafo, quello più importante in un libro. Lì mi è venuta l’espressione equivocarse de orgasmo. Sbagliare orgasmo è quello che è successo a me. Certo, il piacere femminile lo conoscevo bene, ma negli anni ’70 non riuscivo a mettere in connessione il piacere che io avevo sempre sperimentato con quello che mi si diceva essere il piacere della vita adulta che chiamano sessualità.
Una volta capita questa espressione mi è venuto da ridere, mi sono rivista giovane leggere Carla Lonzi, La donna clitoridea e la donna vaginale: le donne di allora non volevano di nuovo essere divise. Quello che proponeva Carla Lonzi sembrava una falsa alternativa.
La mia è scrittura dell’esperienza ispirata dal piacere per questo è una scrittura trascinante.
Da che cosa hai dovuto liberarti e che relazioni ti hanno aiutato a scrivere il libro?
Mi sono dovuta liberare dalla violenza ermeneutica universitaria. Io sono ‘universitaria’ dalla nascita, nella mia famiglia – padre, madre, zie e loro antenati – si è sempre parlato di università come di una cosa vicina, interessante e importante. Sapevo che soffrivo di qualcosa che era lì ma non dipendeva da me. Ho preso coscienza molto tardi della differenza che c’è tra il piacere di conoscere, di vivere, di scrivere, e invece imparare il sapere maschile come piacere universale, adatto anche per le donne. Nel 2019, quando ho scritto la biografia Sor Juana Inés de la Cruz. Mujeres que no son de este mundo, il nodo si è sciolto in me: ero sottomessa a una violenza grande che poteva essere nominata. Ho legato la violenza ermeneutica universitaria alla difficoltà di sentire piacere incontrata nelle università in diversi paesi e in molti anni.
La prima volta che ne ho parlato in pubblico è stata con un gruppo di professori e professoresse dell’Università di Barcellona. Io parlavo con paura, tentennando perché era il luogo più difficile: invece ha funzionato.
In questo percorso mi hanno accompagnato la memoria, i ricordi, la presenza – non più viva, ma vivente in me – di mia madre. Ho avuto un bel rapporto con lei da bambina e da adolescente, poi non più per molti anni, in cui si sono alternati momenti di distanza e di vicinanza. Ci assomigliamo moltissimo. Lei insegnava con la lingua materna greco classico nei licei e, prima della guerra civile, all’università. Scrivendo questo libro, attraverso i ricordi di gesti e insegnamenti di lei, ho capito cose che allora non capivo bene.
Mi ha aiutato molto anche la relazione con Barbara Verzini, che stava scrivendo La madre nel mare. L’enigma di Tiamat. Non sapevamo ancora della pandemia ed è iniziata una relazione settimanale telefonica che persiste ancor oggi. È una grazia. Non abbiamo come per il libro né indice, né ordine del giorno, né obiettivi. È una condivisione come facciamo noi donne nella pratica delle relazioni.
Il piacere femminile è clitorideo è un titolo forte che alcune hanno sentito disturbante come se volesse riprendere una questione, partita dalle riflessioni di Carla Lonzi cinquant’anni fa e quindi data per conclusa. Alcune lo hanno sentito come impudico e provocatorio, soprattutto quelle che si ‘confondono di orgasmo’ fino a sentire quasi un rifiuto a leggere il libro, come ci hanno riferito in un gruppo di discussione. Altre l’hanno sentito come un’affermazione liberante.
A noi sembra che tu ci faccia fare un passo avanti. Che cosa c’è di diverso rispetto a Carla Lonzi e perché hai voluto questo titolo?
L’ho voluto fortemente perché non ho mai dimenticato Carla Lonzi. Il libro parte da lei e dalla mia esperienza del suo scritto, ma non parla di lei. Ho letto La donna clitoridea e la donna vaginale nel 1972 e ha prodotto in me un impatto fortissimo ma non sono riuscita in quel momento ad arrivare fino in fondo. Il piacere femminile è clitorideo è diverso perché non è un libro di teoria, di filosofia e neppure di politica. Il libro non fa pensiero del pensiero, è pensiero dell’esperienza, come quello di Teresa d’Avila, di cui sono lettrice sin da bambina. Lei diceva: «Non dirò niente che non abbia sperimentato molto». È un libro della vita come quelli di tante mistiche, senza pretendere di paragonarmi a loro. Tenta di entrare nel mistero del piacere clitorideo, il mistero non si dà mai per concluso.
Sul rifiuto di alcune per il titolo credo che vi sia un grande dolore nello sbagliare piacere, non è questione di presa di coscienza. È un dolore senza parole, almeno lo è stato nella mia esperienza e in quella di molte donne che conosco. Ho sentito questo rifiuto nel 1972, non è stato un rifiuto della verità del testo che è rimasta viva in me, ma ho provato rifiuto del dolore che mi faceva sentire e che non aveva un nome. Ho voluto questo titolo perché, se non si sbaglia orgasmo, c’è solo piacere. Il titolo è chiaro e semplice e dice quello che il libro è, non ha altra pretesa. Non va contro, non entra in controversia. È interessante che Kiki Bauer, la disegnatrice tedesca che vive a New York, abbia fatto la copertina interpretando il senso schietto del titolo: solo colore e scritto.
Nella nostra esperienza i nomi e l’insistenza su di essi possono farci credere nell’esistenza di cose che non ci sono: la vagina è un esempio molto potente. Nel libro dati la sua prima nominazione e denunci come successivamente l’orgasmo vaginale sia stata la manovra più perversa della politica sessuale sostenuta dalla medicina scientifica, dalla psichiatria e dalla medicina maschilista. Questo ha portato molte donne a credere che l’orgasmo femminile dipenda dal coito, lasciandosi così spogliare del proprio piacere.
Perché è stato necessario inventare la vagina e l’orgasmo vaginale?
Ci sono state forme di resistenza femminile?
Non avevo mai dubitato dell’esistenza della vagina, fino a quando mi interrogai sul fatto che molte donne colte ancor oggi confondano la vulva con la vagina. Una giovane giornalista in televisione diceva che la clitoride è nell’estremo superiore della vagina. Capisco che non l’abbia mai trovata. Anche internet confonde. Cercando come scrivere senza offendere me e altre donne mi sono chiesta: «Ma la vagina esisteva nel Medioevo?» Non lo ricordavo, pur avendo studiato i trattati di ginecologia come quelli di Trotula, di cui esistono più di 200 manoscritti. Ho letto tanti testi. Ho chiesto a Carmen Caballero dell’università di Granada che aveva pubblicato una ricerca su un libro ebreo di ginecologia. La parola vagina non c’era. Dunque, doveva essere stata inventata. Ma quando? Ci sono dizionari maschili, utili a loro modo, in cui è scritto quando compare per la prima volta una parola in un testo. Ho trovato persino la data, 1641, significativa perché queste manovre perverse della politica sessuale maschile vengono sempre dall’esistenza nella società di molta libertà femminile e non del contrario. Nel 1641 la prepotenza degli universitari (l’inventore era un anatomista dell’università di Padova) è molto grande e loro possono dire cose terribili sulle donne, affermando che sono scientifiche: la caccia alle streghe è vinta dagli stati moderni, anche se terminerà nel ’700. Le streghe avevano una grande forza di massa tra le donne: potevano, di fatto non di diritto, permettere o vietare anche agli uomini di dire perché non sarebbero stati creduti. Ma le streghe non erano più lì. Anche il discorso del metodo di Cartesio è un’altra prova, come spiego nel libro.
Nel Seicento c’è grande forza tra le donne. Basta pensare alla Querela delle donne. La libertà femminile, l’amicizia tra donne, le Preziose, i salotti, sono sentire femminile diventato comune, che fa comunità. Penso che l’invenzione della vagina serva per rafforzare gli uomini nel patriarcato. L’anatomista di Padova scrive che la vagina è fatta «per il comodo scontro virile». Fa ridere quando si traduce il suo pezzo. Le donne clitoridee non sono reattive, si inventano forme di resistenza, ad esempio le frigide (ma non è un nome nostro) hanno resistito, non hanno mai confuso l’orgasmo.