Condivido oggi con te un testo di Stefania Ferrando sul libro “Il piacere femminile è clitorideo”. Stefania è una filosofa che sa concepire grazia.
Pubblicato su “Letterate Magazine” settembre 2022.
Il piacere femminile è sacro
Stefania Ferrando, 22 settembre 2022
Riflessioni (e sensazioni gradevoli) dopo la lettura del libro “Il piacere femminile è clitorideo” di Maria-Milagros Rivera Garretas, storica all’università di Barcellona e attivista femminista
Di Stefania Ferrando
Vorrei cominciare con alcune parole di Maria-Milagros Rivera Garretas, storica all’università di Barcellona e attivista femminista, autrice del libro “Il piacere femminile è clitorideo” che parla di storie, poesie, Dee Madri senza coito (come la Madonna), enigmi, immagini, pensieri e opere d’arte che dicono che il piacere femminile è clitorideo. Godere del piacere di essere donna non è scontato, anche se la libertà femminile si è imposta in buona parte del pianeta. A minacciare il piacere femminile sono la violenza ermeneutica universitaria, impegnata da secoli a imporre alle donne un orgasmo inesistente e l’invasione di farmaci, scritti, immagini, chirurgie e algoritmi che ignorano il senso libero della differenza sessuale.
Nel secondo capitolo, dedicato alla Violenza ermeneutica o clitoridectomia simbolica, l’autrice scrive di università, un’università che si definisce Alma mater e usurpa quel nome, mater, nello stesso momento in cui rigetta e svilisce la lingua materna in cui le verità e i piaceri delle donne sono dicibili. Proibisce la madre e usa il suo nome: questa è la frode dell’università e della finta uguaglianza nella conoscenza.
Scrive dunque Maria-Milagros Rivera Garretas a pagina 60: «L’alunna crede che lì incontrerà qualcosa che le appartiene, che la convoca, che l’interpella, che le dà piacere, che si collega ontologicamente con lei, e non trova niente. Ma il posto era quello giusto, non ce n’è un altro. Tutto le dice di credere a ciò che non è, ciò che intimamente sente e sa che non è. Così lei, l’alunna, rimane senza esistenza simbolica. Centellinare l’esistenza simbolica è una violenza grande quanto o più della violenza sociale e non ha rimedio, a niente serve la redistribuzione».
Non c’è nessuna redistribuzione nel simbolico, perché, se si perdono le parole per dirsi e per dire la realtà, si scompare, si taglia la radice ultima della libertà e del piacere.
Maria-Milagros Rivera Garretas ne parla anche nei termini di un “errore epistemologico”, ma la parola frode è secondo me quella giusta, perché dice la verità di pratiche dirette a ledere con l’inganno, indica l’astuzia sleale con cui si sorprende la buona fede.
Verità
La lettura di questo libro è stata l’esperienza luminosa dell’incontro di una verità. Pagina dopo pagina, ho pensato che stessi tenendo tra le mani uno dei libri più veri che mi fosse capitato di leggere.
È vero di una verità tonda e in movimento, come la spirale, non una verità che procede in linea retta, sgomitando, scontrando e inevitabilmente inciampando.
L’autrice usa parole che dicono una violenza che strappa e lacera una donna nell’intimo e nell’essere, nel piacere d’anima e di corpo di essere una donna quando parla, scrive, pensa, studia.
Sono parole vere che nominano questa lacerazione per quello che è: una violenza. E il termine non è usato con leggerezza.
Ma sono parole vere, e tonde, perché nel nominare quella violenza le danno un senso e aprono su altro. Qualcosa d’altro che viene prima, che è piacere e che è anche la storia di un piacere nella genealogia femminile.
È un piacere che impregna le parole del libro, nel movimento che fa accadere e in cui ti trasporta. Per questo, nel libro non c’è solo da capire, ma insieme da sentire ed essere.
Un piacere che si sfiora e si tocca.
Il piacere e la scoperta della mia lettura si sono intrecciate alle parole di Barbara Verzini: le sue parole di traduttrice. Ma anche le parole del suo libro, “La madre nel mare. L’enigma di Tiamat”. E le parole, anche queste a spirale, incarnate e scambiate tra noi. C’è una scrittura femminile, di cui il libro parla e che incarna. C’è anche una lettura femminile, così preziosa per trovare il movimento tra sé, il testo e il mondo.
Vorrei condividere alcune riflessioni nate a partire dal citato secondo capitolo. Sono pensieri, raccolti attorno a tre parole: frode, violenza (violenza ermeneutica), piacere.
Frode
Frode è l’inganno con cui si raggira la buona fede, le aspettative, la disposizione amorosa di qualcuno: l’alunna crede che nell’università incontrerà qualcosa che conta e vale per lei e non trova niente. Eppure il posto era quello: così tutti le hanno detto, così le dice quella stessa istituzione. Un errore epistemologico, una frode che spacca la realtà e ti lacera coi suoi frammenti. Spacca la realtà perché tutto ti porta a credere quello che non è, che sai e senti che non è.
Per me, nei primi tempi dell’università, questa esperienza si è tradotta spesso in un’incredulità profonda: non è possibile che l’università sia questo. E ancora: non è possibile che non sia questo il posto in cui si impara a conoscere e a creare un sapere che abbia un senso per chi lo incontra.
È proprio una questione di realtà, dell’intreccio che lega e potenzia realtà e piacere, cosicché nel disfarsi dell’uno si disfa anche l’altra. Fisicamente, camminavo con gli occhi bassi, a guardare i piedi, per assicurarmi che almeno loro toccassero ancora qualcosa di saldo…
Per stare in quel luogo, stare al suo gioco, farsi andare bene quella realtà succedanea, accetti allora di fare finta, ti inganni sul piacere, «confondi l’orgasmo», frode suprema. Si è talvolta molto brave a fare quello che non si dovrebbe.
E a volte chi scartava da quel gioco fraudolento, per seguire altre vie di pensiero e ricerca, era ai miei occhi – è terribile ricordarlo – una perdente. Senza dirmi quello che stavo perdendo io, che cosa accettavo di sentir cancellato della mia voce, di quella di mia mamma, di quella di chi seguiva altre strade per studiare con più verità. Si pagano prezzi molto cari per questa cecità: il sapere si inaridisce, l’anima e la parola si ammalano. Per la rispondenza tra il piacere dell’anima e quello del corpo, quando la parola sfugge è il corpo che dice.
Violenza
Quello che succede, in questa negazione di senso e piacere, è violenza. La parola violenza è usata dall’autrice con tutto il suo peso: «Violenza che colpisce ciò che è più proprio della creatura umana, che è la vita dell’anima, il parlare, il sentire, la lingua materna, l’esistenza simbolica. All’università, una ragazza, un ragazzo, venivano per imparare a formulare la loro propria domanda, la domanda sulla vita, la domanda sull’essere, e la ragazza si ritrovava ad essere obbligata a credere, semplicemente dandolo per scontato a forza di ripeterlo, che gli insegnamenti che consentivano a lui di poter formulare la sua domanda, dovessero essere validi anche per lei. E si sentiva violata, penetrata da un fallo che non aveva richiesto» (p. 55).
Tante questioni si aprono.
Una delle prime è come ritrovare la fiducia nelle parole, perché è lì che sei violata, è lì che ti fai violenza, è lì che si spezza, o sembra spezzarsi, il filo del tuo piacere femminile e il legame con chi te lo ha trasmesso. È, è stato, per molto tempo difficile scrivere: le parole sfuggono a quella violenza, si sottraggono a quella penetrazione.
Un primo spostamento è accaduto quando ho iniziato a insegnare.
Barbara Verzini col suo libro, “La madre nel mare”, mi ha dato le parole per dire quello che è successo: ho incontrato e visto la grandezza di donne più giovani e delle loro domande. Come una chiamata, una interpellazione profonda: non puoi ingannarle, farti complice della frode e farle cadere nella sua rete.
Milagros scrive che nei primi decenni del XXI secolo abbiamo messo al mondo la fine del patriarcato e che molte donne giovani lo sentono, avvertendo l’“incubo fallico universitario”, più di chi insegna.
La violenza ermeneutica è «la frode dell’uguaglianza portata alla conoscenza. È separare una donna dal suo proprio piacere, presentandole il piacere maschile come il piacere universale: il piacere di imparare, di capire, di creare, di scrivere, di inventare, di interpretare e ricreare liberamente, in quanto donna, il reale» (p. 56-57).
Piacere
Spostarsi per ritrovare il punto in cui si sente questa verità: «il piacere femminile è sacro e intoccabile… quando lo si colonizza si generano contraddizioni nelle verità superiori della cultura, un errore epistemologico che genera una terribile sofferenza umana» (p.39).
È un piacere del corpo e dell’anima che è sacro e intoccabile e non va confuso né surrogato con piaceri maschili o patriarcali, imparando a riconoscere i crocevia in cui ne va di quel piacere di scrivere, di creare, di pensare, di essere.
Mettere al centro il piacere, non subordinarlo neppure alla libertà: che libertà è, infatti, se è senza piacere? Che libertà è, se si è tristi e depresse? Questo ragionare riporta all’incrocio in cui altre vie sono possibili, in cui si può risentire la propria Era, ritrovare il sassolino che orienta verso un’altra strada per pensare, scrivere, imparare, insegnare con piacere.
Dove colpiva, infatti, la violenza? Non nei “contenuti” di per sé: almeno in apparenza potevo scrivere di tutto. Ma nel piacere, nel piacere di farlo e quindi nel modo di farlo, nel non ridurre ad oggetto, nel pensare insieme all’autrice di cui scrivevo. Piacere proprio, non surrogato, non di seconda mano.
È un filo da seguire per ritrovare il proprio centro di potenza, energia, piacere e realtà. Infatti «una donna spostata dal suo centro, dal suo piacere, è come tale eternamente sottomessa nel corpo e nello spirito» (p. 37).
Lavorare sul centro, come sto facendo in questo periodo con la ballerina-coreografa Cosetta Graffione, in un progetto chiamato Dancing philosophy, significa cambiare i movimenti e l’organizzazione del peso, cominciare a sentire parti del corpo prima bloccate, trascinate da un centro surrogato. Significa anche imparare a sentire quel punto di equilibrio, di anima e di corpo, da cui parole diverse e con un suono di nuovo rotondo cominciano a presentarsi per dire il mondo e quel che accade.
María-Milagros Rivera Garretas, Il piacere femminile è clitorideo, traduzione di Barbara Verzini, Edizione indipendente, 2021
Barbara Verzini, La madre nel mare. L’enigma di Tiamat, Edizione Indipendente, 2020